SPEEDY: COMPAGNO PER TUTTA LA VITA - Gino Balbi racconta ad Handmade come è nata la sua passione per il celebre cronografo Omega

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CONOSCIUTO DAGLI AMANTI “seri” degli orologi d’epoca, Gino Balbi ha contribuito alla realizzazione di diversi libri di riferimento a tema Omega, o comunque inerenti altri marchi esemplari nella storia del mondo delle lancette di qualità. Possiede un’importantissima collezione di Speedmaster, alcuni dei quali sono illustrati nel celebre volume Moonwatch Only, una vera e propria “Bibbia” per i cultori di questo modello. Gino Balbi è riuscito ad acquisire un’esperienza impareggiabile grazie ad una sconfinata curiosità e una pazienza infinita, che lo hanno portato a studiare in maniera approfondita, quasi maniacale, le  sue materie preferite: gli orologi vintage. Lo distingue anche aver scelto di scoprire e descrivere questo mondo prima di tutte le euforie moderne, senza avere nessun interesse finanziario o speculativo, ma solamente con l’entusiasmo dell’appassionato.


Partiamo dallo Speedmaster, che si avvicina alla celebrazione dei suoi 70 anni. Quanto è rimasto nello Speedmaster di oggi quello degli anni ‘60?
«Negli anni ‘60 era declinato in più referenze, ma era sempre lo stesso. Poi ha cominciato a fare di tutto e di più. Adesso vediamo tante versioni diverse, persino a due contatori o con il movimento automatico. La cosa buona è che a distanza di tanti anni continuano ad essere in vendita delle versioni sostanzialmente identiche all’originale.»
Vero, alcuni contemporanei sono tanto diversi da quelli d’epoca. Tuttavia, negli anni ’60 e ‘70 abbiamo visto anche quadranti LCD e movimenti al quarzo.
«Quello è stato il corso naturale di questo settore. Parliamo del periodo che ha vissuto il crollo dell’orologeria classica, hanno dovuto anche loro inventarsi un prodotto al quarzo, come tutte le case del resto. Dovevano pur sopravvivere.»
Hanno una legittimità di collezione anche loro?
«Sicuramente! Ad esempio, la mia collezione comprende un Omega X33. Si tratta di un oggetto particolare, perché lo vedo come un’evoluzione dello Speedmaster. Come mi piacciono molto gli Accutron di Bulova, che peraltro non è un quarzo ma un diapason.»


Secondo la tua esperienza, quali erano i veri competitor dello Speedmaster negli anni ‘60?
«Gli unici veri e propri “competitor”, sono quei marchi sottoposti, come è avvenuto per lo Speedy, ai test della Nasa per la scelta dell’orologio ufficiale della missione Apollo: quindi Longines e Rolex. La storia ci racconta come alla fine di quelle prove letteralmente “massacranti” solamente un cronografo, per quanto malconcio, rimase ancora in una
qualche maniera funzionante: quello realizzato da Omega.»
Il Carrera di Heuer poteva essere un competitor?
«Poteva esserlo benissimo. Dipende anche da chi era l’acquirente. Se la persona cercava un cronografo perché lo vedeva come un oggetto utile sì. Heuer era un produttore considerato “professionale”, divenuto famoso per il suo impegno nel mondo delle corse automobilistiche.»
Lo Speedy di Neil Armstrong andato sulla Luna, che fine ha fatto?
«I primi due che sono andati sulla Luna erano quello di Neil Armstrong e quello di Buzz Aldrin. A qualche anno di distanza, la Nasa ha richiesto che tutti i cronografi Speedmaster “on loan”, quindi “in prestito” agli astronauti dovessero tornare indietro per entrare nel patrimonio dello Smithsonian. Quello di Armstrong tornò ed oggi è visibile al National Air and Space Museum. Di quello di Aldrin si persero purtroppo le tracce.»
Ritornando agli albori, lo Speedmaster nasce in origine come derivazione cronografica della collezione Seamaster.
«Il Seamaster è nato nel 1948 /49. Poi nel 1957 è uscita la celebre trilogia in acciaio con una cassa sostanzialmente uguale: il Seamaster, lo Speedmaster e il Railmaster. Altro denominatore comune: tutte e tre i modelli avevano la celebre lancetta Broad Arrow.»

In base alla tua esperienza, Omega con lo Speedmaster e Rolex con il Daytona, si aspettavano quello che poi è successo? La longevità di questi modelli?
«A mio avviso si tratta di due fenomeni completamente differenti. Con lo Speedmaster, Omega ha raggiunto con la conquista della Luna l’Olimpo della conoscenza e della tecnologia: per anni ha cavalcato l’onda di questo successo. All’epoca Longines non era un “cugino” all’interno dello stesso Gruppo (n.d.r. Swatch), al contrario era un concorrente spietato, aveva in catalogo dei cronografi davvero notevoli, che per lungo tempo non ha più prodotto.»
Il Daytona?
«Riguardo al Daytona, ti racconto un aneddoto personale. Era il 1968 e mio padre voleva regalarmi un orologio. Sapendo che volevo fare l’ingegnere, voleva regalarmi un  orologio tecnico, di conseguenza la scelta naturale era un cronografo. La sua prima preferenza cadde su un modello Omega in oro, crono due contatori. Gli spiegai che, data la mia età (all’epoca avevo 18 anni) e il mio stile di vita – andavo in moto, andavo al mare con gli amici – per quanto bellissimo non era propriamente adatto. Quindi lo portai in un negozio che all’epoca era già concessionario Rolex. In vetrina aveva un 6239 oppure un 6238, non ricordo
bene. Dissi a mio padre che era proprio il modello che piaceva a me, perché aveva l’immagine dell’orologio sportivo e tecnico. Quindi entrammo dentro e mio padre gli chiese quanto costasse e gli riposero: 240mila lire. Davanti a questa richiesta rimase un po’ di sasso
e poi andammo via. Una volta usciti, mi chiese “Quel modello in oro che avevo scelto costa 110mila lire. In questo ci vedo della sostanza, mentre quello in acciaio non ci vedo nulla”. Ritornando verso casa siamo ripassati davanti al primo negozio e in vetrina vedo che accanto al modello in oro c’era uno Speedmaster. Allora chiesi a mio padre di entrare per sapere quanto costasse: la risposta del concessionario fu 82mila lire. La decisione fu immediatamente presa e mi regalò lo Speedmaster. Da quel giorno divenne e rimase il “mio orologio”. Con gli anni ho seguito l’andamento dei prezzi e il rapporto di 3 a 1 è rimasto tale. Caso diverso invece è stato quello del collezionismo. Da quando è uscito il Daytona automatico, tutti volevano quello manuale. E da lì è nata la storia vintage del Daytona.»
Hai ancora quel primo Speedmaster?
«Certamente. Si tratta di un 145.012-67, che indosso ancora qualche volta. È un po’ l’orologio della mia vita. L’ho anche fotografato per Moonwatch Only (n.d.r. a pagina 237 nella prima edizione e pagina 241 nella seconda.»


Nel 1968 lo Speedmaster ancora non era l’icona che sarebbe diventato di lì a poco.
«Ricorderò sempre la prima volta che ho visto una pubblicità per l’Omega Speedmaster nel 1969,subito dopo il primo allunaggio. In effetti si parlava del Moonwatch. Ho guardato il mio polso, molto sorpreso ed estremamente orgoglioso dell’orologio che indossavo.»
Fino a qualche tempo fa, tutti indossavano quasi sempre lo stesso orologio per tutta la vita.
«Sì, con l’avvento della Crisi del Quarzo sono usciti gli orologi a prezzi più bassi. Alla gente è venuta la voglia di possederne più di uno. Si sono accorti che potevano cambiare orologio con una cifra abbastanza irrisoria. Il fenomeno dello Swatch insegna: tutti volevano i suoi cronografi. La gente faceva follie. Poi dalla plastica, la gente ha iniziato ad orientarsi verso gli orologi più “veri”. Ho iniziato a creare la mia collezione di Speedmaster quando costavano 800mila lire, poi 900 mila e ancora un milione. Era abbastanza facile trovarli. Adesso è diventato quasi impossibile e i prezzi sono saliti in maniera esponenziale.»

Abbiamo appena detto che l’orologeria commerciale ha ridato vita al settore. Cosa ne pensa del MoonSwatch?
«Un colpo magistrale. Quando mi capiterà, ne
prenderò uno anche io.»

 

 Per saperne di più, visita MoonWatch Only, qui

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